CIAD: si rinnova l’incontro tra le Chiese
Di Marco Fantoni
Dall’America del Sud all’Africa, passando dal Ticino. Concluse le esperienze di El Socorro e Baranquilla, la Conferenza Missionaria della Svizzera Italiana (CMSI) vuole continuare il cammino missionario della Chiesa locale con il Progetto Mbikou, villaggio della Diocesi di Doba in Ciad.
La giovane Diocesi di Doba fondata nel 1989, si trova nella regione meridionale del Ciad, Paese situato al centro del Continente africano e a più di 2500 km dalla costa atlantica, zona che per molto tempo è stata dimenticata dagli esploratori e dai missionari, soprattutto per le difficoltà nelle vie di comunicazione.
L’ANNUNCIO DEL VESCOVO MONS. GIUSEPPE TORTI
È al termine dell’Eucaristia del 31 dicembre scorso che in cattedrale, il nostro vescovo ha ufficialmente annunciato alla Diocesi il nuovo progetto missionario. Lo ha fatto con un messaggio che invita a continuare l’impegno nella Chiesa dopo l’Anno Giubilare e tra l’altro ha detto: “…Per noi l’Anno Giubilare è stato un momento forte, marcato da tanti incontri. Vogliamo che esso continui in modo concreto. Ho incontrato il vescovo di Doba, mons. Michele Russo, il quale mi ha parlato delle sue difficoltà e mi ha proposto di occuparmi di un suo progetto: si tratta di formare un’équipe operativa che lavori sul posto. Siccome il progetto di Baranquilla in Colombia si è positivamente concluso, dopo averne discusso con la Commissione Missionaria, i Vicari foranei ed i Consigli diocesani, come segno particolare d’impegno della nostra Chiesa locale, ho deciso di assumere il progetto missionario Ciad.”
Lo stesso monsignor Michele Russo aveva lanciato questo appello: “Oso tendere la mano alle Chiese sorelle perché esse vengano a lavorare in Ciad. Abbiamo bisogno di essere aiutati; abbiamo bisogno di personale e di mezzi per poter valorizzare, formare, sostenere tutto il potenziale esistente sul posto. Confido che la collaborazione di tutti, il Regno di Gesù Cristo possa diffondersi e radicarsi ancor più in questo paese del Continente africano”. Da qui il mettersi all’opera da parte della nostra Chiesa locale.
OBIETTIVO DEL PROGETTO
L’obiettivo di questo nuovo impegno è soprattutto pastorale e può essere indicato nella necessità di costruire delle comunità mature e vive. Nel contesto sociale, (vedi riquadro), la Diocesi di Doba sta organizzando una pastorale che risponda alle esigenze della gente. La Comunità impegna tutte le sue energie in un dinamismo che ricerca i mezzi concreti per rendere manifesta e presente la vita della Chiesa cattolica in Ciad. Sono previste alcune scelte pastorali: formazione dei leaders a tutti i livelli, Catecumenato: necessità di donare a questa Chiesa un nuovo inizio attraverso il riannuncio e la catechesi, formazione e strutturazione di piccole comunità secondo il progetto: parrocchia comunione di comunità.
L’accento è posto sulla piccola comunità come luogo della realizzazione umana e religiosa. È così richiesto a tutti di sentirsi parte integrante e corresponsabili nella crescita spirituale e nella ricerca del bene comune.
Per raggiungere questo ci si propone: l’impegno nell’autogestione, per vivere e crescere quali artefici del proprio sviluppo. Impegnarsi per la promozione dei valori della popolazione: valori vissuti come doni per il mondo intero, con la necessità di riscopertine/coprirli e metterli in rilievo celebrandoli per la crescita umana e cristiana di tutti. La valorizzazione della persona umana nelle fasce sociali emarginate. L’attenzione alla persona come dono unico per tutti, dove i poveri e gli emarginati devono trovare il loro posto all’interno della struttura sociale ed ecclesiale, sentendosi valorizzati. La promozione della donna ed il suo inserimento nel lavoro di sviluppo della famiglia, del suo villaggio e del suo Paese.
Su questa nuova iniziativa diocesana, proponiamo la testimonianza di Franco Ferrari, già presidente della CMSI e tuttora membro, con un’esperienza di lavoro di due anni, 25 anni fa, proprio nel Ciad. Di recente, con una delegazione si è recato sul posto per verificare alcuni aspetti legati al progetto.
D: Questo progetto parte da lontano?
R: Sì, già undici anni fa il vescovo della neo-costituita diocesi di Doba venne a Lugano chiedendo la disponibilità di preti e suore, ma in quel momento eravamo ancora molto impegnati a Baranquilla e non c’erano possibilità. Poi cedendo a poco a poco il progetto colombiano in mani locali, cominciammo a guardare verso altri luoghi e l’Africa fu uno di questi.
L’anno scorso poi, il Ciad è stato ospite di Missio, durante l’Ottobre missionario, conoscevamo già il vescovo, sapevamo che aveva dei bisogni e questo ha fatto si che una delegazione della CMSI partisse per visitare la Diocesi di Doba.
D: Come hai trovato il Ciad dopo anni di assenza?
R: Venticinque anni fa, partire dal mio paesino natale (Odogno) per andare nel Ciad era un salto nel vuoto, ne sanno qualcosa i miei genitori che pensavano di non vedermi più.
Dopo questa visita, posso dire che il Paese non è più come prima. Oggi il Ciad è un paese che ha vissuto venti anni di guerra, è cambiato sotto certi aspetti, ma rimane pur sempre un’Africa molto genuina. È un’Africa ancora molto intatta, perché lontano dal mare, senza turismo, la gente è rimasta molto semplice. Ne sanno qualcosa i miei compagni di viaggio che sono rimasti molto sorpresi quando a N’Djamena nessuno li ha assaliti per portare le valige o per vender loro qualche cosa. Non ci sono bambini che chiedono la carità o molto raramente.
È un paese che vive la sua vita povera, senza grandi pretese, aspettandosi di avere qualche sicurezza dal punto di vista sanitario e alimentare. Ho trovato, per esempio, qualche miglioramento nell’agricoltura; si coltivano più prodotti, qualche miglioramento nell’allevamento, purtroppo ho trovato anche un Ciad più sporco, c’è la plastica. Venticinque anni fa non c’era la plastica, c’era la sporcizia ma era biodegradabile e mangiata dai porci. Per il resto è un paese che aspetta; ha la speranza che dal petrolio, magari, potrà ottenere qualche soddisfazione di più.
D: La gente cosa aspetta?
R: È gente molto semplice che si aspetta tanto dalla Chiesa. La Diocesi di Doba è ben strutturata, c’è un piano pastorale molto ben fatto e noi entreremo con questa parrocchia che ci viene affidata in un solco già tracciato. Non ci sarà spazio per le fantasie, faremo quello che hanno fatto i messicani, gli indiani che già vivono laggiù. In questa Diocesi infatti, ci sono persone che vengono da tutte le parti del mondo.
Contano su di noi perché hanno bisogno, in quanto le parrocchie sono grandi, i settori missionari piano, piano diventano parrocchie. Bisognerà dare delle strutture parrocchiali, degli edifici, creare delle scuole. La chiesa esiste già. La gente si aspetta che camminiamo con loro e hanno fiducia perché la Chiesa cattolica in particolare, i missionari che sono rimasti durante la guerra, oggi sono molto ben visti. Se qualche anno fa anche i musulmani ci guardavano con una certa diffidenza, oggi guardano con fiducia perché sanno che si è lì per aiutare il Paese.
D: Mbikou, un villaggio che fa parte della tua storia
R: Questo progetto nel Ciad, appunto il Paese in cui ho vissuto per due anni con la mia famiglia, mi riempie di emozione, perché la parrocchia scelta, non da noi, è Mbikou. Mbikou è proprio il villaggio in cui ho lavorato nella scuola. Mi occupavo di un progetto della Cooperazione tecnica in due scuole pilota ed una era proprio a Mbikou. Quindi tornare in un paese in cui ho lavorato venticinque anni fa, in un modo forse più presente perché saremo là per una parrocchia, di conseguenza una presenza molto più marcata, non può che darmi una grande soddisfazione.
D: Come sarà il lavoro?
R: Il lavoro è enorme, perché i preti locali sono pochi. Purtroppo alcuni di quelli che sono diventati preti sono già morti, dato che il Ciad è un paese in cui le malattie abbondano. Nel clero ci sono state diverse persone che sono decedute, quindi il bisogno di personale è ancora forte e per diversi anni avranno ancora bisogno di una presenza straniera; di sacerdoti, di suore e di laici.
Il compito è chiaro. Chi si recherà in Ciad riceverà una parrocchia. Cosa vuol dire? Iniziare la pastorale sul posto, coinvolgere gli agenti pastorali che già esistono, preparali meglio, lavorare con loro e poi creare alcune strutture che in Africa hanno un solco ben preciso; la missione, poi viene il dispensario, poi la scuola e poi, a seconda del luogo anche qualche altro tipo d’aiuto. La gente ci conta, perché una presenza di una parrocchia è una garanzia dal punto di vista anche della sicurezza. C’è poi l’orgoglio di essere parrocchia, adesso è stato superato il periodo missionario in cui c’era solo il settore della missione. Ora, creare una parrocchia vuol dire avere un’identità precisa, anche perché quasi sempre queste parrocchie corrispondono a delle etnie particolari. Il Ciad è infatti composto da 130 etnie e ognuno ha il piacere di avere una sua parrocchia.
I cattolici non sono molti, troviamo diversi protestanti ed in queste regioni del Sud molte persone sono animiste o atee, di fatto è ancora un terreno missionario nel senso antico del termine.
Penso infine che non ci sia un grande pericolo di commettere errori, perché non c’è tanto spazio d’inventiva. Noi dovremo preparare una parrocchia che dovrà essere lasciata in mani locali. Si dovrà andare in quella direzione che è già stata marcata, che è quindi chiara e maggiormente sicura, nel senso che vediamo già quali sono gli sviluppi. Non ci saranno delle sorprese.
Un nuovo tassello della Chiesa locale, Chiesa missionaria in cammino, verso una sorella che chiama, come gesto concreto della nostra Diocesi ed esperienza nuova per chi sceglierà questa proposta come crescita personale di fede attraverso la missione.
La CMSI offre la possibilità a laici di testimoniare il proprio battesimo nella missione di Mbikou. Requisiti fondamentali sono: essere impegnati nella realtà ecclesiale parrocchiale e/o diocesana, godere di buona salute, conoscere la lingua francese ed essere disposti a lavorare in gruppo.
Chi fosse interessato, può contattare il segretariato (tel. 966.72.42), il presidente Mauro Clerici (tel. 794.18.23 e 829.18.46) o l’animatore don Jean-Luc Farine (tel. 857.51.41)
La diocesi di Doba
È nata il 14 marzo 1989 in seguito alla divisione della diocesi di Moundou. Nel 1999 è stata a sua volta divisa in tre parti che hanno originato le Diocesi di Lai e di Goré. Si trova nella regione meridionale del Ciad, incuneata nel centro dell’Africa a più di 2500 km dalla costa atlantica.
Conta 297’816 abitanti, distribuiti su una superficie di 10’816 kmq. 56’544 sono cattolici, 49’250 protestanti, 9’543 musulmani e 182’379 gli animisti. È divisa attualmente in 7 parrocchie residenziali e per i prossimi anni è prevista la creazione di sei nuove parrocchie tra le quali figura quella di Mbikou. In dieci anni di cammino, la Diocesi, ha affidato il settore dello sviluppo al personale autoctono che opera in sette ambiti: sanità, sviluppo agricolo, donna e sviluppo, cultura e formazione, gestione dell’acqua e Radio rurale (la prima radio privata del Paese). La Diocesi sostiene pure diverse strutture: 3 scuole cattoliche associate, 18 classi, 1500 alunni, 1 liceo con 300 studenti, 1 distretto sanitario, 12 dispensari e 1 ospedale, nonché un ospedale fuori distretto. Per il buon funzionamento di queste strutture l’impegno dei laici è essenziale. Troviamo infatti 80 animatori di comunità, 750 catechisti di villaggio, 85 catechisti di settore, 30 animatori diocesani e 230 responsabili della sanità.
Il clima nella regione, più umido di quello del Sahel (da 800 a 1200 mm di pioggia in media annuale) permette la coltivazione di prodotti di sussistenza come miglio, riso, arachidi e mais. Il cotone che per anni ha rappresentato la maggiore entrata del Paese, è attualmente in piena crisi a causa della concorrenza estera.
La gente
vive di pesca e di caccia, ma si dedica prevalentemente all’agricoltura e
all’allevamento, mentre i flussi migratori della popolazione all’interno del
Paese, creano continuamente situazioni nuove. C’è uno spostamento dal Nord
al Centro verso il Sud, alla ricerca di nuovi pascoli e questo crea dei conflitti
nuovi tra agricoltori sedentari ed allevatori nomadi. È pure sempre più massiccio
l’esodo verso le città che in 25 anni hanno quadruplicato il numero degli
abitanti. La popolazione appartiene al gruppo etnico “Ngambay”, ma si riscontrano
numerosi altri gruppi che formano nell’insieme un mosaico linguistico e culturale
molto vario.
(Fonti: CMSI)